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lunedì 11 novembre 2013

Quel maledetto 11 novembre!



Quel giorno ricordo che ero partito intorno alle 7,30 per andare al lavoro a Manfredonia; di solito ascoltavo il radiogiornale in macchina ma quella mattina mi ero incuriosito ad ascoltare le considerazioni di un esperto informatico sulla possibilità di azzeramento dei calendari dei computer che sarebbe potuto avvenire nell’imminente passaggio al XXI secolo. Era una giornata buia, sembrava volesse piovere e mi giunse inaspettata la telefonata di un mio collega di Barletta che mi chiese se stavo bene, se avevo dei parenti coinvolti nella tragedia foggiana; non capii molto e decisi di chiamare mia moglie la quale non mi diede soddisfazione impegnata come era nel preparare i bambini  da accompagnare a scuola. Cominciai a capire qualcosa, ma ancora molto poco, entrando per un caffè in un bar di Manfredonia dove c’era un gruppo di persone che faceva riferimento ad un crollo e dei morti a Foggia. Per discrezione non chiesi niente ma cercai di immaginare l’accaduto facendomi guidare da un minimo di logica: “sarà caduta una di quelle catapecchie, magari una baracca e pensai alla morte di qualche abusivo senza casa, a qualche extracomunitario che si era rifugiato di notte in una costruzione pericolante”. Mi venne in mente il racconto di mia madre circa il crollo del palazzo Angeloni avvenuto tanti anni prima e che aveva causato la morte di alcuni residenti. La curiosità era tanta e tornai in macchina cercando di “acchiappare” un notiziario e per capire veramente cosa fosse successo; le notizie cominciarono ad arrivarmi attraverso la radio ma continuavo a rimanere incredulo e attonito. Quel giorno cercai di sbrigarmi subito e tornai a Foggia con una certa ansia ma anche con tanta curiosità. Avevo sentito parlare di viale Giotto e decisi di avvicinarmi percorrendo via Telesforo e passando dall’ospedale; notai subito un traffico di ambulanze, di auto dei Vigili del Fuoco e decisi di lasciare l’automobile in piazza Aldo Moro: cominciai a camminare tra gente che correva, che camminava senza meta, vidi persone che piangevano, c’era insomma un clima di disperazione ma soprattutto c’era un clima surreale. Non ricordo se qualcuno mi fermò, se mi impedirono di avvicinarmi al palazzo crollato ma ricordo che mi fermai, quasi in contemplazione, ad una certa distanza dalle ruspe e dai numerosi volontari che scavavano e con le persone che erano vicine a me non scambiai una parola, rimanemmo in religioso silenzio a guardare, a soffrire, certamente a sperare, tutti insieme con un unico intento, quello di condividere una tragedia, quella della nostra comunità; guardavo quel cumulo di macerie, una nuvola di fumo alzarsi nel cielo e sembrava di riascoltare la voce di mio nonno quando mi raccontava dei bombardamenti: questa era la tragedia della mia generazione, sicuramente non paragonabile a quella sua che comunque aveva una logica, quella perversa della guerra, ma aveva una logica. Forse ritornai il giorno dopo, non ricordo bene, ma ricordo i televisori di noi foggiani che guardavano sempre le immagini delle emittenti locali che inquadravano i soccorsi, gli scavi e noi guardavamo rigidamente in silenzio, quasi per non disturbare, quasi per udire insieme con i soccorritori  qualche lamento, qualche segnale di vita; aspettammo tutti invano, il miracolo non avvenne e la città intera partecipò a quel funesto corteo di camion dell’esercito che trasportò tante, troppe bare: mentre passavano le osservavo tenendo per mano mio figlio che allora aveva 6 anni e che era nella fase in cui si chiede spesso ai propri genitori: “perché?”. Quel giorno non riuscii a spiegare niente a mio figlio, non seppi ricorrere nemmeno ad una pietosa bugia: tutti, adulti e bambini, vivemmo intensamente quei giorni e continuammo a vivere nel ricordo di quella tragedia anche quando si spensero i riflettori, quando lasciarono Foggia le ultime telecamere nazionali, quando anche i telegiornali volevano richiamarci ad una vita che andava avanti.
In quei giorni raccolsi tanti articoli, li conservai in un cassetto: dopo qualche anno decisi di realizzare un sito sulla mia città e la tragedia di viale Giotto fu la mia prima pagina, quella che ancora oggi risulta la più visitata. Le morti, quelle innocenti, fanno sempre male e lasciano un vuoto dentro, ma i morti di viale Giotto forse son serviti a riscoprire l’orgoglio dell’appartenenza: quel maledetto 11 novembre 99 imparammo in tanti insieme a sentirci più foggiani.
Alberto Mangano

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